Incastonata ai piedi del monte Cjamparis, l'antica fornace di calce “dai Cjrlos” (della famiglia Copetti) è ubicata in Gemona del Friuli nella località “borgo Molino”, posta a ridosso del versante ovest del monte e prossima alla roggia d'acqua lambente il mulino Cocconi, ora Ecomuseo delle Acque del Gemonese. La fornace “di privilegio”, così chiamata per la possibilità di eseguire una produzione continua, fu costruita tra il 1951 ed il 1952 affiancando per qualche anno la fornace di calce posta sul versante est del monte (che fu costruita negli anni '20) e fu rimasta in funzione fino al 1964-1965.
La possibilità data dalle rocce calcaree che costituiscono il paesaggio montano alle spalle di Gemona di produrre calce per l'edilizia fu infatti sfruttata fin dai primi decenni del novecento; ma fu solo con lo sviluppo dell'attività edilizia successivo al secondo dopoguerra che si ebbe la necessità di incrementare tale produzione. L'attività dei fornaciai partiva dalla fornitura della materia prima per produrre la calce ovverosia dalla raccolta delle pietre calcaree. Tali pietre calcaree, che contengono carbonato di calcio (CaCO3), venivano scelte ad occhio secondo l'esperienza degli operai da zone vicino alla fonte del torrente ghiaioso Vegliato oppure dalla zona dei Rivoli Bianchi. Il trasporto a valle dell'inerte calcareo veniva effettuato con i primi modelli di camion per uso produttivo operanti dal secondo dopoguerra. Il carico delle pietre (effettuato 2-3 volte al giorno) veniva poi accumulato in prossimità della fornace ed issato fino alla bocca di carico tramite un carrello da cava montante su binari con traverse in legno e trainato da carrucola motorizzata. La fornace veniva caricata per circa 3/4 della sua capienza tramite la bocca di scarico posta a monte della ciminiera in mattoni e, al contempo, svuotata due volte al giorno attraverso il portellone posto ai piedi della stessa per circa 1/4 del materiale. Il ciclo produttivo continuo prevedeva un apporto continuo di calore reso possibile per mezzo delle due bocche da fuoco presenti lateralmente al corpo della fornace ed alimentate da segatura e qualche tronco di legno. Nella camera di fuoco la pietra diventava in 12 ore ossido di calcio (CaO) comunemente conosciuto come “calcina viva”.
La calce viva, trattenuta a quota della camera da fuoco (il forno) mediante barre di ghisa, veniva successivamente fatta calare con dei ferri da tre metri fuoriuscendo dal portellone inferiore. Infine la calce si accantonava e vendeva nelle 48-72 ore successive (altrimenti veniva spenta in fosse con l'acqua proveniente dalla roggia). Molto spesso bastavano 5-10 centesimi per far la differenza e riuscire a vendere calce anche nei paesi limitrofi, grazie anche alla ottima qualità prodotta.